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L’italiano, la lingua perfetta per lodare la bellezza che ci circonda

di Martina Michelangeli


(Jan van Eyck, Stigmate di San Francesco, 1428-29)



La primavera è arrivata e la sua entrata in scena è sempre uno spettacolo che lascia senza fiato. Qualche volta, nel corso della storia, gli scrittori hanno ammesso la difficoltà di descrivere l’emozione suscitata dalla contemplazione della bellezza della natura. Un pensiero comune però è credere che sia istintivo scegliere come lingua per raccontare le proprie emozioni la lingua materna, definita nel Medioevo come loquela dell’anima, perché arriva direttamente dal cuore di una persona.


“La Lauda doveva essere l’emblema della parola semplice e spontanea, assolutamente lontana dall’arcaicità delle terminologie teologiche e dottrinali dell’epoca."

Proprio nel Medioevo la lingua italiana ha iniziato a sorgere, in particolare nelle regioni centrali d’Italia, in cui iniziò a svilupparsi una nuova forma di letteratura con quella lingua definita volgare, da “vulgus” (che in latino vuol dire popolo), cioè nella lingua parlata da tutti. Proprio nell’epoca medievale, siamo nel Duecento quindi in pieno Medioevo, un giovane frate di Assisi scelse la lingua volgare italiana per scrivere il primo testo letterario della storia del nostro Paese: si tratta di San Francesco d’Assisi, con il suo “Cantico delle Creature” (Laudes creaturarum), datato secondo autorevoli fonti al 1224.


“Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. (…)” vv. 1-9


Il “Cantico” è la sola scrittura italiana di S. Francesco, poiché figlio di madre francese era dedito pregare e predicare in lingua d’oltralpe, lingua indicata nella storia come il primo idioma della letteratura europea.

Per San Francesco la lingua della sua “Lauda” (il genere letterario di argomento religioso di carattere popolare, proprio della letteratura italiana) doveva essere l’emblema della parola semplice e spontanea, assolutamente lontana dall’arcaicità delle terminologie teologiche e dottrinali dell’epoca, proprio perché in grado di esaltare la bellezza della natura.


Il “Cantico” è un preghiera in volgare umbro e per la prima volta la lingua volgare risuona con estrema eleganza e precisione, mediante l’uso di parole brevi in grado di essere comprese da tutti: l’invito dell’autore a lodare e ringraziare Dio, era rivolto a tutti gli uomini, di tutti i ceti sociali e non solo ai più istruiti.


Nella lettura del testo saltano subito all’occhio del lettore l’uso di caratteristiche linguistiche tipiche del dialetto umbro, come le finali in u (es. altissimu, nullu, dignu, ecc.). Che possa tornare in questo nostro momento storico, alla lettura di questo delicato testo, il desiderio di usare la nostra bella lingua per descrivere le emozioni che si provano anche solo contemplando un fiore che sboccia; per comprendere la gioia di essere parte di una bellezza toccante per l’anima, perché come disse proprio San Francesco: “Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre”.


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